di Françoise Gehring


 

Si sfugge alla rovina economica e sociale solo costruendo una società che legge e pensa e che ama leggere e pensare. Ne sono profondamente convinta.  Per questo sostengo il progetto della Filanda a Mendrisio che avrà come perno la biblioteca. La biblioteca, appunto, un servizio considerato dai detrattori un mero luogo di conservazione, un costo inutile e improduttivo. 

La realtà – per chi ha occhi per vedere e guardare – è invece ben diversa, perché da anni le biblioteche pubbliche di nuova concezione sono diventate luoghi di incontro, di scambio, di crescita civile, di progetti culturali e di coesione sociale. Cultura e biblioteche sono un bene comune importante per la crescita di una città. Ne sono convinti gli Amici e le Amiche della Filanda, un gruppo interpartitico attivo a Mendrisio che promuove il progetto con passione, serietà e convinzione e che ha saputo radunare centinaia di interessati/e. Tutti possono aderire al gruppo, basta scrivere a: [email protected]

Esattamente come l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo, le biblioteche sono un indispensabile bene comune che Google non può e non potrà mai sostituire. Il lucido poeta Giancarlo Majorin parla di un «regime invisibile» dei nostri tempi, di una vera e propria «dittatura dell’ignoranza» che agisce attraverso le «comunicazioni di massa», la pubblicità, l’«istituzione permanente della spettacolarità», la «progressiva sostituzione del linguaggio con le immagini», la «sottovalutazione del pensare o del ragionare», il «dominio del denaro e del potere» sul sapere e la conoscenza.

All’interno di questo meccanismo devastante, la competizione politica sembra essersi ridotta a un’avvilente corsa al peggio: vince chi riesce a falsare maggiormente la realtà; a degradare di più i contenuti e le diverse forme della comunicazione; a stimolare maggiormente gli istinti più bassi, quelli della pancia.

Ciò che decenni di politica qualunquista – dilagante anche alle nostre latitudini – ha veramente sdoganato, è l’ignoranza; l’orgoglio di essere ignoranti; il disprezzo – questo sì di stampo fascista – per i saperi, qualsiasi sapere, e per i loro cultori; la pretesa di «fare» e saper fare anche senza conoscere e sapere. Ma non è tutto. Nell’ultimo ventennio – e non è un caso – la cultura è stata spesso al centro del pubblico disprezzo da parte di un certo numero di politici poiché considerata un giocattolo improduttivo o un passatempo elitario in mano a intellettuali snob e saccenti, con scarso senso della realtà.

Non deve dunque stupire se è stata anche esasperata la tradizionale contrapposizione in base a cui la cultura è la negazione della redditività e l’economicità è la negazione della cultura.  In realtà la cultura può contribuire al benessere di un paese in molti modi, non solo per il suo indiscutibile valore morale e sociale, ma anche sotto il profilo economico.

A forza di volere combattere la cultura, si è così perso di vista che la creatività e l’innovazione possono essere un elemento di vantaggio competitivo. Molti studi sul rapporto tra cultura e crescita economica – che hanno preso in esame piccole e grandi realtà urbane – indicano che la cultura è una componente sempre più rilevante delle strategie di rigenerazione e di sviluppo urbano. Numerose ricerche dimostrano inoltre che tra i servizi comunali, la biblioteca è sempre il più apprezzato.

La cultura è un bene comune e un diritto inalienabile dei cittadini e delle cittadine. La cultura può nascere, crescere e vivere partendo anche dal basso. Promuovere, organizzare e gestire beni e attività culturali significa mettere in campo competenze professionali diverse. Un lavoro essenziale per valorizzare il passato e il presente della nostra cultura e assicurarle il futuro.

L’Associazione cultura popolare rifiuta l’idea che la cultura sia un costo improduttivo da sacrificare in nome di un malinteso concetto di risparmio. Al contrario, crediamo che lo sviluppo della nostra realtà dipenda anche dalla centralità accordata all’investimento culturale. A Mendrisio, per esempio, La Filanda può davvero diventare il simbolo di un nuovo modo di fare cultura: ossia promuovere la partecipazione attiva dei cittadini e delle cittadine alla fruizione delle opportunità culturali, alla definizione delle scelte e degli obiettivi che interessano tutto il territorio di Mendrisio. La cultura dipende da noi. E vogliamo credere che sia un patrimonio da coltivare con amore.

Concludo con una bellissima lettera scritta da un docente italiano: «Trent’anni di disprezzo per la cultura – roba da poveracci, da infelici – hanno portato a questo: a un paese povero e infelice. Ma io non mollo, continuo a indicare ai miei studenti un punto più in alto, dove l’aria è migliore, dove si vede meglio il mondo».

 

 

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