di Françoise Gehring

Non c’è rivoluzione senza liberazione della donna. Non c’è liberazione della donna senza rivoluzione. Questo il motto della prima Conferenza mondiale delle donne di base, svoltasi a Caracas (Venezuela) dal 4 all’8 marzo 2001. Poco meno di vent’anni dopo in Svizzera soffia un nuovo vento femminista e si moltiplicano le azioni per chiedere la parità, iscritta nella Costituzione svizzera il 14 giugno del 1981. Principio trasformato in una legge (entrata in vigore il primo luglio 1996) che ancora adesso non viene rispettata. Le donne ora dicono basta, sono invitate a mobilitarsi (come alla manifestazione del 22 settembre a Berna) e a firmare il manifesto femminista nel quadro dell’Anno delle donne (vedi box).

Se è vero che il tempo cambia il corso delle cose, se è vero che occorrono altre modalità di risposte e altre forme di rivendicazioni, non si può negare l’importanza di risvegliare i movimenti provenienti dal basso per ricominciare la lotta per le pari opportunità che si è sostanzialmente fermata dopo le grandi conquiste degli anni  Settanta, come il diritto al divorzio, il diritto all’aborto, il diritto al lavoro e il diritto all’autodeterminazione. Le donne devono dunque tornare nelle piazze, tenendo bene presente che una forma di lotta non ne esclude necessariamente un’altra. Il lavoro nelle istituzioni rimane importante. Ma occupare gli spazi pubblici, rendersi visibili e udibili, è una necessità.

La ormai lontana Conferenza di Caracas ha ricordato che ci sono lotte universali. Le donne, anche se provengono da paesi molto distanti, soffrono le stesse discriminazioni e affrontano problemi molto simili. A cominciare dalla violenza: la si trova in tutti i paesi, in tutti i continenti e in tutti i gruppi sociali, economici, religiosi e culturali. Per non parlare della femminilizzazione della miseria, delle discriminazioni sul lavoro, dello sfruttamento, della tratta degli esseri umani, delle forme di oppressione all’interno della famiglia, della cristallizzazione dei ruoli tradizionali che limitano la libertà delle donne.

Oggi le donne –  nel mondo, in Svizzera – devono conquistare spazi sempre più grandi di autonomia e di indipendenza non solo per se stesse, ma anche per contribuire a porre le basi per la costruzione di un mondo migliore, possibile e necessario, in cui ogni donna sia valorizzata per il contributo che può dare alla collettività. In cui ogni donna sia messa nella condizione di poter svolgere un lavoro, vivere una vita dignitosa, libera da tutte quelle incombenze e discriminazioni che questo sistema patriarcale scarica sulle loro spalle, dal lavoro domestico alla cura dei bambini e degli anziani, dalle discriminazioni salariali.

Rispetto agli uomini, le donne sono più esposte al precariato, alle forme di lavoro atipico (come il lavoro su chiamata) e alla nuova povertà. Spesso le donne sono occupate in settori mal pagati e dove la pressione sui salari – e sulle condizioni di lavoro – sono fortissime. Questo stato di pressione permanente ha inevitabilmente delle implicazioni dirette sulla salute delle lavoratrici, costrette sovente a far quadrare dei conti che proprio non tornano. Se queste realtà costituiscono lo specchio più palese delle distorsioni del mercato, occorre tuttavia tenere anche presente che la discriminazione non è solo legata all’idea di “pari stipendio per pari lavoro”. Può essere molto più sottile, considerando “naturale” un certo atteggiamento delle donne verso il lavoro (a tempo parziale, lavoro flessibile, congedo o cambiamento di carriera a causa della famiglia).

Da quando in Svizzera è stato approvato l’articolo costituzionale che sancisce l’uguaglianza tra donne e uomini (il 14 giugno 1981), il seme delle parità non ha trovato terreni sempre fertili. E ora il movimento sindacale si prepara a lanciare un nuovo sciopero nazionale delle donne, come quello del 1991 al motto: “Se le donne vogliono, tutto si ferma”.

 

L’anno delle donne

Lo scorso 14 giugno 2018, un manifesto femminista è stato appeso a Palazzo federale e in numerose località di tutta la Svizzera tra cui Bellinzona, Lugano e Chiasso. E’ stato così lanciato l’anno femminista, nel quale sono previsti previsti incontri, postulati in Parlamento e azioni per maggiore parità. Il messaggio è chiaro: noi donne non staremo più in silenzio, ma lotteremo per quello che ci spetta!

 

Manifesto

Quello che dovrebbe essere scontato deve finalmente diventarlo – la parità ci spetta!

Abbiamo aspettato abbastanza. Noi donne, indipendentemente dalle nostre origini e da quanto guadagniamo.

Abbiamo aspettato abbastanza per ottenere lo stesso salario per lo stesso lavoro.

Abbiamo aspettato abbastanza che il nostro lavoro quotidiano sia totalmente riconosciuto e che gli uomini diano il loro contributo alla famiglia e alla cura della casa.

Abbiamo aspettato abbastanza per poter vivere la nostra vita senza violenze.

Abbiamo aspettato abbastanza che la politica e l’economia riconoscano in maniera equa la nostra presenza e il nostro ruolo nella società.

Noi donne non vogliamo più aspettare.

Chiediamo che la Svizzera realizzi in un anno i seguenti punti:

  • Parità salariale ora. Servono controlli e sanzioni – come per qualsiasi altra legge.
  • Riconoscimento di tutto il nostro lavoro. Anche la famiglia e la cura della casa sono lavoro. La conciliabilità lavoro-famiglia deve finalmente essere garantita.
  • Niente violenza contro le donne. Nessuno può toccarci senza il nostro consenso. Non staremo in silenzio, ma lotteremo per quello che ci spetta.

 

Firma il manifesto:

https://annodelledonne.ch

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